Due parole sul blog

Se pensate che qui si parli di Fate, Elfi e Creature simili, beh, avete ragione.
Quasi.
La verità è che qui la vera protagonista è la Terra, com'è o come avrebbe potuto essere se...Se l'uomo non fosse com'è, se si fosse evoluto diversamente, se le cose fossero andate in un altro modo...

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Su, su, guardate, guardate...

Come Polvere Nel Deserto 5


“Voglio il gelato!” esclamai balzando verso il frigorifero, salvo ricordarmi che non ne avevamo.
“Beh, in effetti non mi andava” commentai, sbattendo la portiera del freezer con malagrazia.
“E quindi?” chiese Franco.
“Quindi mi spiegò, là, in quel capanno ombroso, come e cosa avrei dovuto fare, come io avrei dovuto operare, e poi le dimensioni, il peso, tutto quello che avrebbe comportato costruire quell’oggetto, poi ci accordammo per incontrarci, sempre in forma molto riservata, nel laboratorio del suo orafo personale, un paio di giorni dopo.
L’orafo, a dire il vero, era più di un semplice artigiano, più di un artista, ma, tempo dopo, mi confidò di non avere idea di cosa stesse facendo, che stava soltanto eseguendo alla lettera e con la massima precisione, gli ordini di Sua Maestà. “Qualcosa ha preso da suo padre, dopotutto” mi disse: “Lui ordinava, ad incisori, pittori, a tutti coloro che per lui lavoravano, di fare in un certo modo, ma mai costoro, tra cui un mio zio, sapevano il disegno finale, né ne comprendevano il significato. Sua Maestà è così distante da quell’uomo, per pensiero, azioni, carattere, eppure ha delle caratteristiche che lo ricordano, in alcune cose. Poche, a dire il vero. Il dare un pezzetto di un’opera ad ognuno, senza svelare mai tutto il disegno è una di queste…Soltanto lui conosce i suoi intenti e io credo sia perché il suo pensiero è troppo grande per noi comuni mortali”
Mi parve buffo che definisse se stesso mortale, come se il Faraone non lo fosse, mentre era quello, tra noi, da sempre più vicino a perdere la vita.
Eppure era così che lo consideravano: Amun incarnato in un corpo fragile, troppo fragile per un Essere così grande, immortale, misterioso e, per quella sorta di sacrificio che compiva ogni giorno nel rimanere lì, in quel corpo, lo proteggevano e lo veneravano più di quanto avessero mai fatto nei millenni passati con chiunque e, in ogni caso, non lo ritenevano mortale, almeno non come noi.

 Il Faraone aveva detto che non avrei dovuto terminare la farfalla finché lui fosse stato in vita: solo nel caso della sua morte avrei dovuto portare le parti dall’orafo e terminarle con lui, seguendo esattamente le sue istruzioni, poi avrei dovuto porre il gioiello orientato con la testolina a Nord, lasciarlo sotto il sole otto ore ogni giorno per trenta giorni, infine riporlo in una cassetta di Ebano della qualità più pregiata, che lui aveva procurato, durissima e priva di imperfezioni.
Il coperchio si chiudeva in modo tanto perfetto da non riuscire a capire dove fosse e se ci fosse! Sembrava, una volta chiusa, un mattone nero perfettamente levigato.
Fece preparare all’orafo una base d’oro puro con misure e forme precise, e incise lui stesso sul metallo ancora tiepido dei glifi che né io, né l’orafo avevamo mai visto.
Giorni dopo portò dei papiri con alcuni disegni: erano strani, apparentemente brutti, con figure geometriche, spirali e fili che passavano sopra altri, raggiungendo il bordo esterno dell’ala, dove avrebbero dovuto passare attorno ai Diamanti, un volta incastonati, e tornare alla parte centrale.
Sarebbe stato difficile, perché bisognava che l’orafo preparasse due fili d’oro e due di rame sottili come ragnatela e lunghi ognuno due cubiti reali (105cm l’uno).”
“Ma…Marabel? Stai descrivendo un circuito elettronico o cosa?”
“Ecco…no, non esattamente…avevamo molti dubbi sulla stranezza di queste visioni, così l’ipnotista mi riportò diverse volte ai ricordi riguardanti quegli episodi, quelli in cui ci mostrava i disegni o ci insegnava come fare. Era affascinato da quello che stavamo scoprendo, anzi, tutti noi lo eravamo. Elettrizzati e senza parole: a quel punto avevamo imparato che doveva essere tutto vero, o almeno quasi tutto, poiché potevano esserci delle imprecisioni, ma, dopo la scoperta della questione del disco e il colloquio dell’americano con il ricercatore che lo aveva tenuto tra le mani per pochi minuti, ci eravamo ormai resi conto di essere di fronte ad una faccenda gigantesca e alla più grande opera di insabbiamento mai immaginata.
Ci stavamo rendendo conto che tutta la nostra storia era un colossale insabbiamento.

Così, man mano che i ricordi su quella fase della vita di Iset e del Faraone emergevano, noi, nel ventesimo secolo, parallelamente, indagavamo su tutto ciò che poteva somigliare a quella roba.
Nei tre, quattro mesi precedenti all’operazione, Sua Maestà e io ci incontrammo diverse volte per lavorare a quel progetto. Purtroppo, per quanto mi sforzassi di osservarli e riportarli su carta, al termine della sessione di ipnosi, non mi fu mai facile, perché li vedevo e non li vedevo, erano sfuocati e non riuscii mai ad afferrare esattamente tutti i passaggi, a riprodurre la forma, se non in modo frammentario.
Intanto ci procuravamo fotografie e grafici di schede elettroniche stampate e circuiti, ce ne procurammo di veri, ma io non trovai mai niente di simile a ciò che vedevo in ipnosi. Poi, un giorno, all’americano venne in mente di mostrarmi un circuito elettromagnetico: molto più semplice, ma simile, familiare.
Mi parve di intuire che ci fosse qualcosa di riconducibile, soprattutto nel modo in cui i fili creavano una specie di toro attorno al corpicino centrale in Silica Glass e quel che ricordavo bene era proprio il toro, che sembrava sigillare, forse attivare, tutto il lavoro.
 E poi c’erano spirali, al di sotto, che andavano con un filo verso il centro che poi, dal punto centrale, si ripiegava  su se stesso tornando indietro, come in certi disegni rupestri che chiamiamo preistorici. Era interessante, ma ci erano comunque incomprensibili. Voglio dire, non solo a noi, che ci occupavamo di tutt’altro, ma anche a persone del settore, cui l’Americano li sottopose senza spiegare come li avesse avuti.
Penso fosse una sorta di tecnologia magica di cui non abbiamo assolutamente alcuna nozione, al giorno d’oggi.”

“Ha senso” disse una voce sognante. Avevo completamente dimenticato la presenza virtuale del mio socio. Mi svegliai da quello stato di incanto e mi voltai sorpresa verso il pc: “Eh?”
“Ma si!” esclamò: “La forza elettromagnetica potrebbe essere davvero una forma di energia in grado di, non so, di creare una specie di scudo protettivo, oppure di interagire con qualcosa di spirituale o comunque non fisico.
In fondo, ragazze, la materia fisica costituisce solo la materialità di ciò che conosciamo, mentre l’energia costituisce tutto il resto, anzi, l’energia è anche la materia! Noi stessi emettiamo dei campi di energia, che piaccia o no, non importa che ci sia gente che si sbellica dalle risate a sentire parlare dell’aura o che altro, sappiamo benissimo di irradiare frequenze, anzi, che ogni cosa emette delle frequenze e sappiamo che la Terra stessa ha un campo energetico a toro che la circonda, a vari strati, come una cipolla e così il sole e via dicendo. La Via Lattea è un toro, e le galassie che ci riesce di vedere pure, anche se sembrano diverse dalla nostra.
Non  ne sappiamo un cacchio, alla fine, di tutto quello che ci circonda, pure di quelle forze, come il magnetismo, l’elettromagnetismo, la gravità e chi più ne ha più ne metta, che usiamo quotidianamente.
Se le tue visioni erano soltanto vagamente corrette, allora tutto torna…beh, secondo me, almeno. Certo, ci vorrebbe Sheldon…” rimuginò tamburellandosi il mento con due dita.
“Chi?” mi sussurrò Marabel: “È un patito di Big Bang Theory” spiegai. “Ahhhh!”
“Vi ricordate quel bassorilievo famoso, quello con persone inginocchiate che sembrano sorreggere delle lampadine?”
“Le lampade di Dendera, si” rispose Marabel: “Non sappiamo il reale significato di quelle figure, la spiegazione ufficiale parla di fiori di loto…naturalmente”
Franco non la sentì nemmeno e continuò la sua arringa, verso non si sa quale giudice: “Ovviamente i disegni vengono sdoganati come tutt’altro e la teoria dell’elettricità è relegata a folklore da appassionati di misteriologia, ma…ma se fosse tutto vero? La storia, l’evoluzione, non vanno in salita, anzi, spesso ho la sensazione che vadano come dei grafici, su e giù, ma fondamentalmente…giù. Non miglioriamo, anche se ne siamo convinti, non rispetto alle civiltà più antiche. Quelle che non conosciamo o facciamo finta di non conoscere, intendo. E in questi giorni direi che ne abbiamo avuto abbastanza di esempi di quello che intendo, no?
Quel ragazzino doveva avere nozioni ormai quasi perdute, non a sufficienza per guarirsi, evidentemente non aveva la materia prima o non gli era stato possibile mantenere o recuperare il resto delle conoscenze antiche! Eppure, riuscì a fare una cosa così straordinaria! Un genio!”

“E questo lo avrebbe salvato!” esclamai. “Se non avessero rubato la farfalla, lui avrebbe potuto liberarsi, è così? Nonostante le porcherie che gli avevano fatto quegli altri!”
Marabel annuì, riflettendo.
“Si. Non so come, non so se avrebbe in ogni caso avuto dei problemi, o se sarebbe riuscito a sganciarsi completamente dall’operato di quegli altri, ma presumo che, una volta rinato in un nuovo corpo, beh, appena fosse stato abbastanza grande, avrebbe fatto in modo di aprire la tomba e rimettere a posto ciò che restava da sistemare. A dire il vero…non ne avrebbe avuto bisogno, secondo i suoi calcoli, perché avrebbe dovuto esserci il Delfino ad occuparsi di sistemare le cose. Ma anche volendo prendere in considerazione l’eventualità della sua scomparsa, come avvenne, è chiaro che quell’oggetto avrebbe dovuto permettergli di liberarsi. E di tornare.
Immaginate, ragazzi: dei sacerdoti sanno di aver imprigionato il loro nemico per millenni, forse per sempre, in un limbo di non esistenza e invece, ecco che lui appare, magari dopo un paio di decenni e con prove inconfutabili di essere esattamente chi pretende di essere. Una disfatta totale per loro.”

“Ma Marabel!” disse Franco, pallido come uno straccio: “Ma chi era quel ragazzino?”
Lei sorrise: “Il loro più grande nemico. Il Distruttore delle Tenebre.”
“Io voglio il gelato!” ripetei, questa volta impuntandomi come una bambina. Afferrai il portafoglio e mi precipitai alla gelateria più vicina, ad un paio di isolati, mi feci dare un chilo di stracciamenta, melone e papaya e tornai su di corsa, dove mi appollaiai nuovamente sul divano con un cucchiaio. normale, non come quello di Franco, perché io mantenevo un minimo di dignità. Poca, ma la mantenevo.
Avevo tirato fuori due cucchiai, il che stava a significare che, se Marabel ne avesse voluto, avrebbe dovuto pescare direttamente dalla confezione, oppure procurarsi una coppetta dalla mia madia.
Lei giocherellò con il cucchiaio e poi pescò nel melone.

“Questo dovrebbe chiarire definitivamente perché fecero sparire il Delfino. Sapevano che, una volta sul trono, non solo avrebbe portato avanti i piani del cugino, ma non ci avrebbe messo niente a scoprire cosa avessero combinato. Sicuramente avrebbe, per precauzione, fatto aprire la tomba, verificando che tutto fosse a posto e, a quel punto, sarebbero stati cavoli amari per parecchia gente. Sarebbero cadute parecchie teste e non in senso figurato: per quanto saggio, giusto e di animo buono, N’kht era un militare, avrebbe riesumato la pena di morte e si sarebbe liberato di parecchi problemi.
Aveva conoscenze sufficienti per accorgersi da sé di qualcosa di anomalo, ma soprattutto…come potreste aver capito dalle visioni successive su di lui, ad al-Qāhira, si mostrò sospettoso durante tutto il periodo della preparazione della mummia, imponendo la costante presenza di guardie alla sala di mummificazione. Presumo controllasse ogni loro azione, consapevole che tra i maestri mummificatori dovesse esserci qualche traditore.
Ora, a pensarci, mi viene il dubbio che potessero essere più di uno.”
“Quindi” disse Franco (io ero impegnata ad ingozzarmi di stracciamenta e papaya): “la scomparsa del Generale Nakhtmin non è collegata alla farfalla blu?”
“No, lui era al corrente di tutto, ma gli altri no, sennò avrebbero ucciso l’orafo o me. O tutti e due, per buona misura. Beh, forse uccidere me senza aver eliminato N’kht non sarebbe stato una mossa molto astuta, uccidere lui avrebbe lasciato me senza alcuna protezione e liberato loro da un grosso fastidio”

“Ma scusa” interruppi: “Ma la signora Sposa Reale non poteva difenderti?”
Lei mi sbirciò con un mezzo sorriso e affondò il cucchiaio nella menta, avendo cura di prendere molte scagliette di cioccolato: “Ti dirò…non è che le interessassi molto. Insomma, come sappiamo aveva paura di qualcosa o qualcuno, fuggì ad AkhetAton e non ci è dato sapere quanto vi restò.
So che era terrorizzata, penso che non si fidasse più nemmeno dei nonni. Io la vidi il giorno della morte di Sua Maestà, poi alcuni giorni dopo e stava già programmando una via di fuga attraverso un matrimonio strategico.
Da bambina viziata e capricciosa, era diventata una giovane riflessiva ed infelice, poi una donna dura e distante, anche sarcastica, a volte. Oggi si pensa che non avesse altra scelta che sposare Aye, ma non è così: Aye non aveva alcun bisogno di sposarla per salire al trono, essendo fratello della Grande Sposa Reale Tiye, padre della Sposa Reale Nefertiti, zio del Faraone eretico e prozio del suo divino Figliolo. Eliminato il Delfino, il trono era un suo diritto.
Se però Ankhesenamon si fosse risposata con un uomo di rango sufficientemente elevato, allora il trono sarebbe logicamente spettato a lei.
Inoltre, se le lettere di Amarna sono corrette e tradotte correttamente, la sua affermazione “non voglio sposare un mio servo”, escluderebbe Aye perché, non solo era Gran Visir, che, per quanto un gradino sotto la Sposa Reale, non può essere considerato servo, ma era suo nonno materno e dubito che lei si sarebbe espressa in quei termini. Certo, essendo ormai ai ferri corti, potrebbe averlo disconosciuto, almeno interiormente…però, ripeto, a lui non era necessaria per salire al trono, aveva già una sposa, la vecchiaccia.
Non so perché oggi pensino fosse vedovo, forse lo rimase in seguito, ma almeno fino alla sepoltura del Faraone, la vecchia vipera era viva e vegeta.”

“Si pensa anche si riferisse ad Horemeb” abbozzò Franco.
“Si, si pensa, o si pensava. È strano: perché il Generale avrebbe dovuto sposare Ankhesenamon, se tanto non era lui a dover salire al trono? Certo, una volta fatto sparire il Delfino, quasi sicuramente Aye promise al Generale di nominarlo come proprio successore, e questo avrebbe significato dover sposare la Vedova Reale per assicurarsi il diritto al trono. Non dimentichiamo che, qualunque grado di parentela avesse Horemheb con la famiglia reale, non doveva essere molto stretto, però, se fosse stato nominato delfino dal nuovo faraone, allora, avrebbe avuto solo bisogno di essere sposato e lui lo era, in quel momento. Sappiamo che rimase probabilmente vedovo prima di diventare faraone, ma un buon paio di anni dopo le lettere di Ankhesenamon, quindi non è di lui che parliamo.
Comunque, penso abbia poi sposato Mutnodjmet perché Ankhesenamon non era più disponibile. Quel che è certo è che lei non sposò né il nonno, né Horemheb, come si è pensato per molto tempo: entrambi mostrano spose diverse e ben documentate, nessuna riconducibile alla nipotina”
Si voltò a guardarmi col cucchiaio a mezz’aria: “E, se anche non avesse avuto tutti i suoi fastidi cui pensare, non era interessata a preoccuparsi per me, davvero”

“Ma pensi l’abbiano fatta sparire?” domandai con gli occhioni da gattina: “Eva, lei aveva commesso un gesto inqualificabile, aveva praticamente tentato di tradire l’Egitto. Per quanto fosse la cocca del nonno, sappiamo anche che quell’uomo, così amorevole e protettivo verso la famiglia reale, doveva esserlo più che altro per convenienza. Io non credo gliel’abbiano fatta passare liscia.
Forse non la uccisero, ma sicuramente la relegarono in una posizione nella quale non potesse nuocere, forse la esiliarono ad AkhetAton, che era l’unico posto in cui lei si sentisse a casa, tra l’altro. In ogni caso, la sua tomba è nella Valle delle Regine, ma non con gli onori di una Grande Sposa Reale, ma assieme a sorelle, ancelle e altre donne della corte.
Ah, si, sempre ammesso che uno di questi giorni non trovino un’altra mummia cui dare la sua identità, cancellando allegramente le assolute certezze sulla precedente scoperta, naturalmente.”

Restai a riflettere col cucchiaio in bocca: era incredibile come i moderni si contraddicessero con la leggerezza di una ballerina classica, ma non con la medesima eleganza, non appena lo ritenessero conveniente. La confusione che si creava continuamente con successi esaltati e immediatamente negati, affermazioni che non venivano nemmeno ritrattate alla presunta verità seguente, era sicuramente superiore a qualsiasi epurazione dell’epoca dinastica.
Mi pareva evidente che, nei secoli, almeno in qualcosa ci si fosse perfezionati.
Cancellare l’esistenza di qualcuno, attribuirsene le azioni, le opere, gli anni di regno, poteva non essere così sicuro, tutto sommato: ad un certo punto, poteva sempre spuntare qualcuno che andava a ficcare il naso e il piccone in qualcosa che non lo riguardava, facendo venire alla luce qualche verità molto scomoda.
Creare una confusione assoluta in un mondo in cui la cultura diventa sempre più rara ed effimera e l’ignoranza prende il posto a capotavola di ogni società, è sicuramente un modo molto più raffinato di agire. Raffinato e sicuro, visto che nessuno si prenderà la briga di fare domande.

“Bene” Franco si sfregò le mani soddisfatto: “Andiamo avanti! Non siete venuti a capo di come nel particolare fosse fatta la farfallina, ma sappiamo che doveva esserci qualcosa di molto super tecnologico. Che pare una fesseria, vista l’epoca, ma noi sappiamo che non è così. Ora illuminaci sul resto.”
“Beh, che dire? Sapevo di doverlo incontrare quotidianamente per seguire la sua salute, in quel periodo, così, mentre ero lì per imporgli le mani, ne approfittavamo per preparare sia la parte materiale del Talismano, che quella composta dagli incantesimi.
Aveva intagliato un modellino di legno con le stesse misure e proporzioni della farfalla, segnando con un piccolo stilo numeri e riferimenti, poi, al posto dei Diamanti, aveva attaccato all’interno di piccoli fori dei chicchi di orzo e mi faceva vedere come avrei dovuto usare i fili d’Oro e Rame sull’oggetto originale, usando filo di lino.
Il circuito avrebbe avuto lo spessore direi di un paio di millimetri e sopra, leggermente sollevato, in modo da tenere fermo il lavoro, ma non schiacciarlo, dovevano essere fissate con l’Oro le lamine di Lapislazzuli. Queste sarebbero sembrate più spesse di quanto realmente non fossero, grazie alla bordatura d’Oro tutto intorno, nella quale si dovevano incastonare le pietre.
Dovreste vedere, voi che siete del mestiere, le caratteristiche dei Diamanti: conduttività, piezoelettricità e tutto quello che vi venga in mente, perché dubito molto che il Faraone volesse dei Diamanti per puro gusto estetico e ancora più interessante è che volle espressamente le pietre provenienti dal deserto libico, cioè i piccoli Diamanti da impatto. È evidente che, come i metalli o altre pietre di quell’origine, dovessero avere delle caratteristiche ben precise.

Avevo pensato, vedendo il suo infantile entusiasmo per quella Pietra Celeste che oggi chiamiamo Silica Glass, che si trattasse di una passione legata al suo essere affascinato da ogni novità, da ogni particolarità del mondo che lo circondava, o non fosse nient’altro che attratto dalla luce che quelle pietre, bruttarelle da grezze, emanavano una volta tagliate, ma mi sbagliavo: non si trattava di un trastullo. Da molto doveva studiare, se non il Talismano che ora progettava, almeno tutto ciò che avrebbe potuto essere strumento di conoscenza e aiutarlo nel suo percorso. Oppure proteggerlo, quando fosse venuto il momento.
Mi insegnò le parole che avrei dovuto usare nel prepararlo, una volta che l’orafo avesse terminato la propria opera, poi quelle che avrei usato nel porlo al sole diretto e altre che sarebbero servite per riporlo, ad ogni tramonto, nella sua scatola, avvolto in un panno di lino puro ed infine ciò che avrei dovuto fare e dire nel momento in cui lo avessi posto sulla mummia.
Per gioco, e per non pensare a quello che stavamo realmente facendo, perché è della sua morte, alla fine, che stavamo parlando, gli chiesi perché, dal momento che non aveva mai amato la pratica di mummificare il corpo, non chiedeva di essere arso sull’Iteru come avevamo fatto per le genti del Nord. Pensavo di farlo ridere, ma non rise.
Socchiuse gli occhi, mi guardò intensamente e risposte: “Non è tempo”. Pensai di avergli mancato di rispetto, o di averlo offeso, ma la dolcezza del suo sguardo mi rassicurò, almeno per quel momento. Sapeva che io rifiutavo categoricamente di pensare all’eventualità della sua morte e capiva quanto dovesse costarmi essere accanto a lui e discutere di un argomento così spaventoso. Però, forse, gli avevo davvero mancato di rispetto con quelle parole, anche se lo avevo fatto soltanto per farlo ridere. Qualche volta tendevo ancora a dimenticare di trovarmi di fronte al Faraone.”

“Le parole potevano davvero essere importanti? Stavate costruendo un aggeggio che di magico non aveva niente, se davvero era un circuito elettromagnetico, perché le parole dovrebbero attivarlo o meno?” bofonchiò Franco.
“Perché dubito fosse soltanto un aggeggio elettromagnetico” risposi per Marabel.
“È vero, ragazzi. Ne dubito anch’io. Insomma, parliamoci chiaro: secondo la scienza ortodossa, vi pare che qualcosa o qualcuno possa imprigionare un’anima immortale in un limbo, luogo-non-luogo o che altro diavolo si voglia, agendo magicamente sul corpo fisico defunto?
Parrebbe una sciocchezza, non vi pare?
Eppure vennero fatte delle cose, ci sono notoriamente delle anomalie nei vasi canopi e probabilmente ce ne sono che non siamo in grado di vedere, ma che per la gente dell’epoca  dovevano essere così evidenti da saltare all’occhio di un ragazzino analfabeta profanatore di tombe alle prime armi.
Per noi è follia. Imprigionare un corpo è cosa da nulla, sono capaci tutti, una mente, beh, forse è un po’ più difficile, ma un’Anima? Una cosa immateriale, immortale e la cui vita è, o dovrebbe essere, indipendente dall’esistenza o meno del corpo fisico…come si fa a legarla, ad imprigionarla? Dubito si possa chiudere in un barattolo, no?” scosse la testa, affondò il cucchiaio nel melone e riprese: “Insomma, è difficile da mandar giù! Io ci ho sempre creduto, ho sempre saputo che era vero, per la semplice ragione che era quello che pensavo ad otto anni, quando ero troppo piccola da essere influenzata da qualcosa. Accettarlo, invece, è più dura.
Possiamo provare a spiegarlo in termini il più possibile elementari, dunque: noi dovremmo essere formati da una piccola cosa bianco-azzurra che, durante la costruzione del corpo fisico, staziona lì vicino, iniziando, al momento in cui il corpo sia completo, ad entrare, quasi cercando di abituarsi, di adattarvisi o adattarlo a sé. Ad un certo punto, entra dalla fontanella e prende posto stabilmente. Nel frattempo, si formano anche una fitta rete di energia, corpi energetici, non materiali, chiusi dentro quello fisico, quelle valvole, aperture, che vengono chiamate oggi Cakra, per mettere d’accordo tutti, il canale centrale su cui le cinque valvole principali sono innestate, due canali laterali che si avvolgono al centrale e una serie di altre cose che non stiamo qui a ricordare. Gli Egizi, però, ritenevano che un’Anima fosse pochino e avevano trovato una serie di caratteristiche o oggetti energetici che definivano come “anime”. Se avete notato, quando Sua Maestà mi spiegava il processo di imprigionamento, di blocco dell’Anima di qualcuno, non parlava di anima, ma di anime. Questo non vi è sembrato curioso?”

“Ehmmm…”
“Si?”
“No, è che, si, pensavo che lui avesse detto anime perché quelle porcherie sono state fatte a più gente, nel corso dei millenni. No?”
“No.”
“Ah.”
“Diceva anime, perché per gli antichi Egizi nell’essere vivente, almeno in quello umano, che conosciamo meglio, ci sono più anime, ognuna con caratteristiche specifiche e con funzioni ben precise. Quelle che più spesso potreste aver sentito nominare sono Ba e Ka.
Oggi, alcuni studiosi tendono a riallacciare il Ka al patrimonio genetico di un individuo, in quanto è scritto che era sempre dentro il corpo fisico e ne manifestava temperamento, carattere, attitudini e così via e questa eventualità apre a diversi scenari: noi sappiamo, se tutto questo non è un cumulo di sciocchezze, che ad ogni nascita ritroviamo le nostre caratteristiche, non siamo un’altra cosa, anche se siamo in un altro corpo, anche se magari di una razza totalmente diversa, siamo noi! Ci riconosciamo, anche se ciò che vediamo non ci piace.
Quindi, la domanda che sorge spontanea è: ma se io sono quella che sono dall’alba del tempo, se mi porto dietro di vita in vita ciò che ho imparato, pure senza ricordarlo in modo cosciente, le capacità, i traumi, il bello e il brutto che posso aver vissuto, come faccio ad essere anche una cosa scritta in un filamento di amminoacidi che ho ereditato da qualcuno che, di solito, ha una storia del tutto differente?
Qualcuno potrebbe dire che quei filamenti parlano di noi perché in realtà parlano di nostri antenati e noi pensiamo di ricordare una nostra vita, invece sappiamo per memoria genetica quello che ha fatto qualche nostro antenato, ma questo è del tutto irreale. Raramente, infatti, nasciamo come discendenti di noi stessi, molto più spesso non abbiamo alcuna relazione con l’individuo che eravamo, poiché facciamo esperienze in paesi, razze, situazioni familiari, che ci possano servire il più possibile.
Come dire, immaginate se Franco un giorno scoprisse in sé una vita da Aborigeno Australiano…e sapesse dire tutto ciò che gli accadde, dal primo giorno all’ultimo della sua vita!
Ebbene, quante probabilità ci sono che tu abbia degli antenati australiani, veri australiani, aborigeni! Non mi pare qui pullulino, né che si siano divertiti a vagare per l’Europa negli ultimi trecento anni, no? O la tua famiglia andava e veniva con mogli o mariti aborigeni, nei due secoli passati?”

Franco, sentendosi chiamato in causa, prese molto seriamente quell’appunto: “No, non so, non credo di essere mai stato un Aborigeno, ma, se così fosse, ammetto che nessuno dei miei pro e bis è stato in Australia e ha sposato qualcuno di quelle terre. Però non so, la tua è un’ipotesi! Probabilmente io non ho alcun ascendente Aborigeno, quindi non ho quel DNA, quindi non può essere in me. No?”
“Se avessero ragione costoro si. Ma è pieno in mondo di gente che si scopre un passato in zone di cui non ha alcuna eredità genetica. Quindi…forse nasciamo, che ci piaccia o no, da genitori che possano trasmetterci caratteri che ci servono per costruire un patrimonio con caratteristiche utili, con gli ingredienti che ci sono utili a creare poi la nostra ricetta.
La ricetta, però, potrebbe essere creata ed eseguita non dal semplice ricombinarsi dei vari amminoacidi, ma dalla spinta energetica delle parti non fisiche, dall’Anima e dal formarsi, via, via, dei vari corpi, in un costante lavoro di campi morfogenetici e di corpo fisico in sinergia. Per esempio. Come vedete ci sarebbe da disquisire all’infinito, su quest’argomento, ma non lasciamoci prendere la mano, sarete voi, in seguito, ad approfondire, se lo vorrete. Sappiate, però che gli déi possedevano un grande numero di Ka, ne potevano avere un numero illimitato, letteralmente, ognuno legato ad una caratteristica creatrice, una loro abilità, o attitudine. Questa è un’altra cosa che potrebbe dare un gran numero di spunti.
Gli déi si e gli umani no? Oppure gli umani sono solo troppo primitivi, ma possono guadagnare la capacità o il diritto ad avere un numero illimitato di Ka? E cosa significa, questo? Una quantità illimitata di geni o…qualcos’altro?”

“Ma non possiamo avere un numero illimitato di geni…dove li metteremmo? Dovremmo avere nuclei cellulari ipertrofici!” protestai.
“Bah!” rispose: “Dubito sarebbe il problema principale”
“E le altre anime?” chiese Franco. Aveva abbandonato il gelato e ora era lì con penna e notes, pronto a prendere appunti.
“Dunque…il Ba sarebbe la parte divina, totalmente spirituale, ma recante la personalità dell’individuo. La particolarità del Ba è che non è immutabile, uguale a se stesso dalla sua creazione, ma può crescere, diventare molto più grande e potente in relazione a ciò che ha compiuto o meno durante la sua storia, fisica o meno, visto che è in grado di vivere anche in modo permanente nei reami spirituali, o diventare più piccola e meno forte.
È interessante, no? il concetto Hindu di Mahatma è qui perfettamente spiegato. La cosa angosciante è che, secondo gli Egizi, il Ba, dopo la mummificazione, rientrerebbe dentro il corpo.
Noi sappiamo che Sua Maestà riteneva che questo fosse sbagliato, ricordate? E che il bene sarebbe liberare le anime bruciando il corpo”
“Quindi è questo che può restare imprigionato? Perché rientra? Ma si rientra in un corpo morto? Chi sarebbe così scemo?” sbottai. L’idea di andarmene in giro bella e felice per settanta giorni, poi andarmi a reinfilare in un coso irrigidito, mummificato, trattato con varie schifezze e infilato in bende e sarcofagi a me sembrava davvero ridicolo.
“Si” ammise Marabel: “Ma non è così semplice. Ragazzi, le indicazioni della credenza Egizia sono molto interessanti, ma non è detto che siano anche corrette! Almeno non come ci sono riportate.
Ricordatevi che erano tutt’altro che stupidi e che usavano linguaggi criptati, in modo da essere davvero comprensibili solo agli addetti ai lavori. Un linguaggio alchemico vero e proprio. In questo modo, se a leggere erano persone non iniziate, non erano in grado di capire, quello che vedevano era tutta un’altra storia e noi oggi non sappiamo effettivamente cosa loro intendessero.
Comunque, limitiamoci, anche se il Ba è la cosa più vicina al Divino, all’essenza divina, creatrice, non a…agli déi costrutti, come diceva lui. Ovviamente, non secondo le credenze ufficiali ed accettate, anzi, sostenute dalle caste sacerdotali lungo i secoli.
Abbiamo l’Akh, che si può vedere volare via dal corpo al momento della morte. Non in forma di perla blu, ma di luce…presumibilmente quello che oggi chiamiamo corpi sottili, per farla breve. Molto breve. Essi si ricongiungono alla Divinità, questa volta quella vera, la forza creatrice dell’Universo, la Fonte divina.
Poi abbiamo l’Ab, identificato con il cuore. Gli Egizi, sempre ufficialmente, credevano che, senza il cuore, la vita oltremorte fosse impossibile e per questo era l’unico organo interno ad essere lasciato dentro il corpo.
L’Hekau era invece il potere magico proprio dell’individuo, una forza vitale magica che permette agli umani di comunicare e perfino influire sul mondo divino.
Il Ren è il potere del nome, la ragione per cui si pensava che, cancellando il nome di qualcuno dal suo sarcofago, questa persona cessasse di esistere. Invocare, invece, il nome del defunto, serviva a mantenerlo in vita nell’aldilà. In realtà questa pratica mantiene il contatto con quell’Anima, ma non influisce, fortunatamente, sulla sua reale esistenza, solo, si può presumere, sulla sua memoria di sé in quella vita e, a mio parere, può creare delle forme pensiero in grado di autoalimentarsi per molto tempo, continuando ad identificarsi con l’individuo che era collegato a quel nome.
È così che nelle sedute spiritiche stile ottocento si contatta lo spirito di Napoleone o Cesare o chissà chi altro.
Poi c’è il Sekem ed è una cosa affascinante: è l’energia, l’insieme delle energie e la luce che era propria del defunto. Ciò che scaturisce dall’unione di tutte le parti di un essere vivente. Alcuni ritenevano che il Sekhem svanisse alla morte del corpo visico, altri che, al contrario, vivesse in eterno, unito al Ba.
Il Sekhu è il corpo fisico: lì dentro sono contenute tutte le altre parti che abbiamo nominato, tutte quelle più lo Sheut. Una parte affascinante e pericolosa. Possiamo definirla come l’Ombra.
Veniva definita di colore nero, ma direi che semplicemente si possa intendere come mancante di luce visibile, assorbente, quindi, almeno apparentemente, nera, certo. Penso che non abbiate bisogno di spiegazioni particolari su cosa sia lo Sheut, non è vero? Esso era, è, l’opposizione del Ka e, allo stesso modo, come il Ka può diventare sempre più potente con il migliorarsi ed affinarsi delle qualità positive dell’individuo, così lo Sheut diventa più forte e potente, a scapito del Ka, con le azioni e le qualità malvagie.
Lo Sheut era considerato il doppio immateriale di tutte le cose e si pensava che fosse il collegamento tra la parte materiale e quelle spirituali della persona, delle cose, di tutto. Una specie di ponte.”

“Ah, si! La famosa faccenda che un individuo, senza la sua parte negativa, non possa vivere, come l’ombra non può vivere senza la…luce. È così?” esclamai, battendo sul tempo Franco, qualsiasi cosa avesse avuto in mente.
“Si. Per questo uno dei passi iniziatici più importanti è abbracciare l’ombra. Ed è invece molto dannoso negarla, come lo è esaltarla. L’Ombra è un potere segreto, potentissimo e, come vi dicevo, molto pericoloso, che va abbracciato, ma governato con molto polso e determinazione.
L’abilità degli eroi.”
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“Va bene, ragazze, ma…alla fine…che diavolo è successo?!? Come avrebbero fatto ad imprigionare la sua anima, cioè quale? Che parte? O tutta, cioè tutte?”
“Effettivamente…” pigolai.
“Se non la smetti con quel gelato, ti lascio senza cena” minacciò Marabel per tutta risposta.
Io restai a fissarla con il cucchiaio mezzo infilato in bocca e gli occhi a tarsio, e poi, mesta, chiusi la confezione e la riposi nel freezer.
Certo che, essere minacciati a casa propria! Che mondo!

“Ora che ci siamo ricomposti…è chiaro che gli antichi chiamassero “Anima” diverse cose, forse che hanno in comune l’essere parti dell’espressione totale di un individuo completo.
Una spiegazione potrebbe essere l’osservazione di cosa succede a qualcuno nel periodo precedente e successivo la sua morte: prima il campo energetico diventa sempre più debole, poi il cuore si ferma, poi il corpo fisico diventa freddo e si irrigidisce e il suo “doppio”, il corpo eterico, svanisce, si spegne. Poco dopo una pallina blu luminosa esce dalla bocca o dalla testa e si allontana rapidamente, ma rimangono altre parti, che necessitano di maggior tempo per dissolversi o allontanarsi, cioè i vari corpi energetici che, quando si separano dal corpo fisico, hanno ancora coscienza di sé e vagano intorno, a volte inconsapevoli di essere morti.
Di norma ci vogliono pochi secondi di osservazione perché il defunto si renda conto di essere tale, a volte c’è un netto rifiuto e i corpi mentali si abbarbicano al mondo appena al di là del materiale, prendendo a nutrirsi attraverso le emozioni di parenti e amici, fino a diventare autonomi, veri e propri fantasmi. A quel punto sono gusci con le memorie della vita dell’anima, ma niente più di esseri incapaci di evoluzione del proprio stato. Fantasmi, appunto, in grado di rimanere ancorati al luogo dove si trovano, dove sono morti, oppure ad un luogo cui erano fortemente legati in vita, ma non molto di più, in quanto l’Anima, la pallina blu, si è allontanata, continuando la propria strada. I fantasmi, se trovano nutrimento, possono sopravvivere per secoli.
Se ne trovano molti negli ospedali, per esempio, perché c’è moltissima gente e una grande carica emotiva di dolore, disperazione, paura oppure sollievo e gioia. Molto cibo, insomma.
All’osservazione ci si rende quindi conto di quante cose succedano alla morte fisica di una persona, attribuendo alle varie parti il nome di un pezzo di anima o di un tipo di anima.
Tra l’altro, l’Anima vera e propria, la Perla Blu, spesso torna vicino al corpo, forse richiamata dai parenti, oppure dalle parti energetiche refrattarie all’idea di essere morte, per cui dire che quella parte rientra nel corpo potrebbe non essere così peregrina e, soprattutto, i corpi mentali cercano di tornare dentro il corpo, che però è ormai inabitabile, non funzionando più e non avendo più l’essenza della persona, la Perla che si è allontanata: i corpi energetici sono consapevoli che svaniranno, moriranno, con il tempo, senza il corpo e l’Anima, e, in alcuni casi, non vogliono, identificandosi con la persona stessa.
È una brutta cosa, una forma di dissociazione, ma succede abbastanza spesso.
L’Ombra, solitamente, svanisce con l’allontanarsi della Perla Blu, ma, se molto forte, può lasciare una forte impronta sul corpo mentale e rafforzare il fantasma.
Se ci sono oggetti magici o di culto, è molto facile che queste forme pseudo viventi vi si attacchino, trasformandoli in oggetti con caratteristiche inquietanti. Di solito è piuttosto semplice capire se un oggetto sia magico per l’abilità dei suoi creatori o se abbia qualcosa attaccato, comunque.”

“Bene, ma non abbiamo risolto la nostra questione” disse una voce petulante.
“Beh, è semplice, escludendo il corpo fisico, i corpi sottili e il cuore, più, ovviamente, l’Ombra, rimane la Perla Blu, l’Anima vera e propria, cui gli Egizi attribuivano alcune caratteristiche separatamente, ma io direi che sono tutte contenute in quella pallina di energia.
Nel film di cui parlavamo, il monaco che aveva diviso in tre parti la propria Anima mettendola dentro tre diversi bambini, lo poteva fare, secondo le spiegazioni degli altri monaci, perché aveva raggiunto un livello di evoluzione molto elevato e l’Anima, letteralmente, era più grande del normale, inoltre, lui era in grado di mantenere la sua presenza cosciente, anche se latente, in ogni parte.
Come insegnano gli Egizi, il Ba si moltiplicava, cresceva, con il crescere delle qualità dell’essere.
Noi sappiamo che può crescere in luce o in ombra: un’Anima può essere grande perché appartiene ad un Grande Essere, un saggio, un santo inteso in un senso molto più ampio del concetto cristiano, oppure essere grande, grossa, ma malvagia, appartenendo ad un essere che abbia scelto l’oscurità o ne sia addirittura stata generata.
Le Anime non sono tutte uguali.
Quindi, per semplificare e per le nostre nozioni, Sua Maestà scisse il suo Ba, e tutte le sue qualità intrinseche, espresse dalle altre “anime” in tre parti, di cui una fu messa nel Talismano, una rimase, per forza, nel suo corpo, una da qualche parte dentro Iset. Però si potrebbe anche dire che mise il suo Ka in Iset.”

Sentii un campanello d’allarme: “Mise il suo patrimonio genetico dentro Iset?!?”
“Qualcosa del genere” rispose sibillina.
“Va bene, va bene, andiamo avanti…facevate le prove della farfalla e poi?”
“E poi la vita continuava come prima. Avevamo la silenziosa protezione di N’kht, la fedeltà dell’orafo, il sospetto dei tirapiedi del Generale e, o, del Gran Visir…tutto come al solito, insomma.
Sua Maestà si rinforzava, aveva messo su un po’ di peso, non sopportava più nemmeno l’odore della curcuma, ma era grato e riconoscente per il bene che gli faceva.
Il piede non migliorava, o meglio, non peggiorava e non gli faceva male per diverse ore dopo l’imposizione delle mani, ma il resto era migliorato molto, si.
Ricordo pochi giorni in cui si rinchiuse nelle sue stanze, al buio, per i dolori di testa, non ebbe convulsioni e solo un paio di attacchi di febbri, che si risolsero in un paio di giorni di riposo.
La corte non faceva che meravigliarsi, per questo. Penso stessero per deificare sia me che lo wabu, a quel punto, quasi tutti, tranne…beh, lo sappiamo, no?

Un paio di volte si concesse qualche scorribanda sul cocchio, sotto l’occhio vigile del Delfino e con la disapprovazione della sorella, poi decise che voleva provare a tirare con l’arco.
“Devo farmi le braccia, N’kht! Sono rammollito come un mollusco!” diceva. In effetti, in quelle occasioni lo trovai parecchio ombroso e imbronciato, al suo ritorno alla quiete dei suoi alloggi: “Mi hanno messo il piombo dentro l’arco, lo fanno apposta! Non può essere diventato così pesante!”
Naturalmente io ridevo, e lo prendevamo in giro per quella sua impuntatura. Era logico che nessuno gli avesse messo del piombo dentro l’arco, che tra l’altro nessuno aveva il permesso di toccare, ma lui insisteva perché non voleva accettare che tre anni di quasi inattività lo avessero tanto indebolito.
Quando era costretto a rendersene conto si rabbuiava e si chiudeva in un mutismo offeso e bisognava coccolarlo e viziarlo, perché gli passasse.
Eravamo tutti più sereni, sollevati, anche se io sapevo che faceva l’asino per nascondere il turbamento e i timori causati sia dall’imminenza dell’operazione, sia dalla la delusione e preoccupazione della scomparsa degli strumenti di guarigione.
E poi, naturalmente, c’erano le preoccupazioni politiche.
Io continuavo a non capire perché non firmasse il mio divorzio e nemmeno mio marito lo capiva. Non sembrava dispiacersene, continuavamo ad abitare insieme e a mostrarci amabili e in perfetto accordo con la gente e questo era normale, perché in effetti eravamo molto amici, ma non sapevamo spiegarci quello stallo.
A volte avevo paura e piangevo per l’ansia.
Temevo non mi volesse, poi pensavo al suo sguardo, alla sua gioia nel vedermi, al suo non vedere l’ora di potermi sposare e…non sapevo più che pensare!
Sentivo un peso, un’ombra, gravare su di noi, qualcosa che mi sfuggiva, ma mi chiudeva la gola.

“Vorrei passare la notte insieme a te, qualche volta” mi disse un giorno.
Eravamo nei suoi alloggi, lui mi teneva la gamba in grembo mentre la massaggiavo, dopo impacchi con acqua calda e sale. Non seppi rispondere: potevo restare, se voleva, non era certo la prima volta, per cui lo guardai interdetta, senza dire nulla.
“No, non qui. In un posto sicuro…non possiamo pensare che sia sicuro nel palazzo reale.” Bofonchiò. Poi alzò gli occhi verso di me: “Quelle stanze vicino al Tempio sono ancora libere? A tua disposizione?”
Non andavo da parecchio nei miei vecchi alloggi accanto al Tempio di Aset, ma ero quasi certa che fossero vuoti e nessuno avesse il permesso di entrare, se non la sacerdotessa che mi era sempre stata fedele in quegli anni o qualche novizia.
Mi faceva male andarmene e lasciare solo in quella casa l’uomo che mi era stato accanto, in silenzio, per quattro anni. Eravamo d’accordo, attendevamo il divorzio e io ero sicura che un giorno si sarebbe finalmente creato una famiglia vera, con una donna che lo amasse e non fosse semplicemente obbligata a stare con lui, ma sapevo di ferirlo.
“Non ti chiederebbe di andare da lui se non fosse importante, Iset. Non puoi sentirti in colpa per lasciarmi, quando è lui quello che dovrebbe essere al mio posto da sempre e io sapevo dall’inizio cosa ero chiamato a fare, e gli dovevo più di una vita.
Mi chiese cosa volessi, gli risposi, più per sfida, che per convinzione, che volevo la Dea Nera.
Lui me la concesse, avvertendomi che sarebbe stata pericolosa e ribelle, ma mi disse, soprattutto, che avrei dovuto essere al suo fianco per molto tempo, forse per millenni. Mi disse che avrei sempre dovuto essere presente, al suo fianco, attraverso i secoli, ma che non sarebbe mai stata mia, probabilmente. Soffriva nel dirmelo, perché, mi resi conto, non ne era certo, di quest’ultima cosa. Mi disse che, se lui fosse scomparso nei mari dell’oblio per sempre, allora io avrei potuto restare con lei per sempre, impendendo che lei stessa seguisse il suo destino.
Disse che la tua essenza e la sua sono così profondamente unite, che l’annullamento dell’uno coincide con quello dell’altra e che per questo, restandoti accanto e amandoti attraverso il tempo, avrei creato una specie di connessione che, un po’ alla volta, avrebbe potuto sostituirsi all’unione con lui. Non sarebbe mai stata la stessa cosa, ma saremmo stati insieme, ci saremmo compresi, conosciuti e riconosciuti, e, pian piano, tu avresti dimenticato la tua natura e lui.
Mi parve un’eventualità terrificante, mi scusai per avergli chiesto te, dissi che mi piacevi molto e che eri tanto affascinante e interessante, ma che mai mi sarei interposto tra voi, per niente al mondo, ma lui mi fece sedere accanto a sé e mi rese partecipe di segreti che si portava dentro da tempi antichissimi. Mentre parlava, quieto, come mi raccontasse una fiaba, le lacrime scorrevano sul suo viso silenziose e quasi potevo sentire la sua sofferenza: metteva nelle mie mani il suo amore, un amore così grande che noi, comuni mortali, non siamo in grado neppure di immaginare lontanamente. Rischiava, a suo dire, di perderti, ma questo era l’unico modo che aveva di salvarti.
Se il suo Essere si fosse dissolto in una morte eterna, sarebbe stato in pace, sapendoti al sicuro e amata, non abbandonata.
Ma se un giorno lui avesse potuto tornare, disse, allora avrei dovuto lasciarti andare. Mi chiese se mi sentissi di assumermi un compito così gravoso e io lo accettai. Si, fa male, ma nessuno mi ha obbligato.
Penso di aver indugiato, a volte, nel pensiero che un giorno o l’altro saresti stata mia davvero, che avresti scelto me, se fossi stato un buon marito, un buon compagno, se ti avessi compresa e trattata nel modo giusto, se avessi saputo…” si fermò, cercando di fare uscire le parole: “…se avessi saputo essere alla tua altezza, meritarti.”
Scosse la testa, ridendo di se stesso: “Era alla sua altezza che non avrei mai potuto essere. Se pure, davvero, lui avesse cessato di esistere e io ti avessi avuta per sempre, non saresti mai stata completa, né felice. Non c’è niente che io possa fare, che alcuno possa fare, né in questo mondo, né in qualsiasi altro.
Io spero che tu non debba restare. Ma se così dovesse essere, continuerei a portare avanti il compito affidatomi da Sua Maestà, fino a quando fosse necessario. Prima o poi, in un modo o nell’altro, qualsiasi cosa dovesse accadere, io so che lui tornerebbe libero. E noi saremmo lì ad aspettarlo.”
Restai sulla soglia a guardarlo per un lungo momento prima di coprirmi il capo con un velo, perché era ormai tardi ed eravamo nella stagione più fredda, e correre verso il Tempio.

Da parecchio non ci incontravamo là, dove spesso, in passato, mi raggiungeva per rifugiarsi in una bolla di pace, lontano da tutto. Là smetteva di essere il Faraone e si nascondeva tra le braccia della Dea Aset, sentendosi al sicuro.
Ovviamente, oltre alle braccia di Aset c’erano le mie, ma questi sono dettagli.”

Uno strano rumore aspirato ci fece sobbalzare: Franco aveva preso una confezione di thè freddo con la cannuccia e ora, con la famosa espressione da tarsio lacrimevole tirava su il nulla dal fondo del cartoccio: “Fra, ma sei senza fondo! Ti sei rimpinzato di gelato fino a dieci minuti fa e ora il thè? Finirai in coma diabetico!”
“Che sciocchezza!” ribatté: “È solo thè! A sentirti pare io passi la giornata a riempire il miei vuoti affettivi con abboffaggi maniacali” Beh, il concetto non era molto lontano dalla realtà, dal mio punto di vista.
“Se ci racconti nei dettagli cosa successe o succedeva in quelle notti, dici che mi sale tanto la pressione?” indagò rivolgendosi a Marabel. Lei rise: “Oh, non ho nessuna intenzione di scendere nei particolari! Non troppo, o meglio…scenderò in particolari dettagliati riguardo alle nostre discussioni, perché era in quelle notti che si rivelavano i segreti più profondi, ma dubito che scenderò in resoconti su altri argomenti. A meno che non si riveli assolutamente necessario.”
“Cioè, no, spetta, ma stai dicendo che, invece di agire, parlavate?” l’espressione da tarsio era condita d’incredulità e una spolverata di delusione.
“Un po’ e un po’.” Fu la risposta.
“Ah.”
“Insomma, che impazienti!” ci strigliò: “Quella sera arrivai ai miei vecchi alloggi appena dopo il tramonto. Entrando nella mia stanza, mi sorpresi nel constatare che c’era il mantello logoro che usava per i suoi travestimenti, il bastone, uno da mendicante, un rozzo pezzo di legno irregolare, ben diverso da quelli intarsiati e, a volte, intagliati e scolpiti da lui stesso, ma non lui.
D’accordo, lo imbottivano di curcuma, di cui lo wabu aveva fatto incetta, e poi di altri medicamenti, che, a volte, contro la volontà del Faraone, erano conditi da un pizzico di oppio, ma in non si muoveva mai senza bastone da ormai un paio di anni.
Andai a cercarlo e lo trovai nel tempio, seduto a terra, appoggiato contro il muro alle sue spalle, in contemplazione della statua di Aset alata, quella che aveva fatto fare per me con le mie sembianze.
Aveva un sorriso assorto. Nascosta nella penombra scorsi una lacrima che scivolava lentamente lungo la guancia, fermandosi all’angolo delle labbra appena socchiuse.
Non indossava altro che lo skentis, e il tempio era freddo, soprattutto ora che era calata la notte.
Non mi mossi, non feci un gesto, quasi non respirai, ma lui volse appena la testa verso di me, gettandomi un’occhiata in tralice.
“Che fai lì per terra, Am’n? È così freddo! E sei senza bastone…che succede?”
Lui sorrise del mio rimprovero: “Volevo vedere se riuscivo ancora a camminare da solo. E volevo guardare la tua divinità che tu non riconosci. È venuta davvero bella, non trovi? C’è dentro tutta la bellezza al di là dell’umano che hai dimenticato. Eppure, non è che un pezzo di pietra con decori d’avorio e oro.”
Attraversai la sala e sedetti accanto a lui, coprendolo col mio scialle: “Come no? Certo che la riconosco! Ho vissuto tutta la vita nella devozione ad Aset, anche se tu mi hai mandata in confusione, a volte.”
“Non ho detto che non riconosci la sua divinità” disse severo: “Ho detto che non riconosci la tua, quella che hai tu, qui dentro!” protestò, puntandomi l’indice sotto la clavicola a sottolineare il concetto.
Si rese conto di avere il fondoschiena congelato e si appoggiò sulle ginocchia per alzarsi: semplice, con la gamba destra, ma gli sfuggì un lamento appena posò il tallone sinistro.
“Ecco!” rincarai e mi sentii pignola.
Lo abbracciai e lo sostenni, aiutandolo a raggiungere le mie stanze, senza più sgridarlo.
Si distese, gli levai i sandali e presi a curarlo, prima senza toccarlo fisicamente, poi con carezze e tocchi delle mani, da cui inviavo un intenso calore dorato che entrasse dentro di lui e lo colmasse.
Si rilassò con un sospiro e chiuse gli occhi, sorridendo tra sé.
“Presto” pensai: “Presto. Andrà tutto bene!”
“Dobbiamo parlare” disse, sorprendendomi, dopo un lungo silenzio. Mi fece cenno di sedermi accanto a lui, gli coprii le gambe e mi accoccolai al suo fianco: “Dobbiamo parlare della tua sistemazione, dopo il matrimonio”

Oh! Giusto, non ci avevo mai pensato! Non potevo certo vivere nelle stanze vicino al Tempio, né con mio marito, cioè, il mio futuro ex marito. Oh, l’alloggio! Sospirai…
“Non puoi andare ad abitare nell’ala delle donne!” Ah, no??
Sentii un sorriso allargarsi sulla mia faccia contro la mia volontà: “Oh!” dissi appena.
“No che non puoi! È troppo pericoloso, non dureresti una settimana, là dentro!”
“Non hai fiducia in me, HeruRa” brontolai. “Ne ho un sacco in te, ma è in quelle donne che non ne ho un chicco d’avena!” ribatté: “Is, quello è il regno di Tey e delle sue fedelissime pettegole!
È anche il regno di mia sorella, ma dubito molto che le sue ancelle, amiche e cos’altro ti difenderebbero, si limiterebbero a farsi gli affari loro, Ankhesenamon compresa.
In un certo senso non può esporsi per difenderti, anche se sarà lei a sceglierti. Tu sarai un investimento, per lei, ma anche una rivale e, pur considerandoti merce di grande valore, sarai pur sempre una rivale.
Nell’ala delle donne regna una politica strana, perfino peggiore e sottile che nella corte, con regole tutte sue, spesso sottintese, molte volte contorte e infrante da anti regole più solide delle regole stesse. È un mondo a sé, dove l’apparenza è lusso, profumi e unguenti sotto i quali si distillano veleni. Amicizie, inimicizie, alleanze e tradimenti hanno dei meccanismi che sembrano riprodursi autonomamente, dotati di vita propria, quasi senza l’intervento della volontà delle Spose Reali o delle loro familiari più importanti.
Io non ne ho mai capito molto e non mi interessava capire, devo dire. Non è roba per me e nemmeno per te, piccola rivoluzionaria.”
Oh! Io rivoluzionaria? Ma senti da che pulpito!
“Ma allora?” domandai, confusa.
“Allora N’kht e io abbiamo una soluzione. Verso l’ala meridionale dei miei appartamenti, confinanti con stanze che io volli lasciare opportunamente vuote, c’è l’alloggio che fu del Principe Thutmose, mio zio.
Quando ero piccolo, Smenkhara mi disse che c’era un passaggio segreto che il Principe usava per raggiungere sua madre, la madre di Smenkhara, dico, che non passava dall’ala delle donne, ma permetteva a loro due di trovarsi in un posto segreto e sicuro, di cui però lui non sapeva nulla. Come sai, Thutmose morì senza poter vedere il bambino, e lui, in seguito, perse la madre negli anni ad AkhetAton, quando era ancora piccolo.
Quando tornai a Waset per l’incoronazione, ordinai di non toccare gli alloggi del Principe Thutmose e, con l’aiuto del mio istitutore e N’kht, cercammo il passaggio segreto, inutilmente. Così decisi di lasciare tutto com’era, semplicemente coprendo il mobilio e mantenendo le stanze pulite, per qualche eventuale necessità futura.
A dire il vero, pensavo di trasformarle per un eventuale erede maschio, quando fosse stato abbastanza grandicello da lasciare gli alloggi femminili.
Poi, quelle stanze sono rimaste lì a prendere polvere e io, ora, penso di adattarle ad alloggio per te e non più di un paio di ancelle molto fedeli, che potranno stare in una stanza separata, all’interno dell’alloggio. C’è una porta, ora murata, tra i due appartamenti, non avrò che da farla riaprire e, in questo modo, l’unica via per raggiungere il tuo appartamento senza affrontare le guardie, sarà quella porta. Sarà il posto più sicuro, in questo modo.”
Avevo ascoltato con gli occhi sempre più spalancati: “…mm…ma…IO alloggerò accanto a te?!? Proprio accanto a TE??” ero incredula: non solo non avrei dovuto infilarmi in quel serraglio maleodorante, almeno secondo i miei canoni, ma sarei stata ad un passo da lui! Anzi, la porta sarebbe stata sempre aperta, quindi sarei stata insieme a lui! Stavo sicuramente sognando!
“Lo so, darò scandalo” disse con una smorfia: “Ma non mi interessa e l’idea, d’altra parte, è stata del mio Generale in Capo e Consigliere, il Generalissimo Delfino N’khtmn. Dirà in consiglio che è un atto lungimirante e prudente, viste le tue passate intemperanze e i tuoi disaccordi con alcune nobilissime signore della corte. Sfido chiunque ad obiettare…almeno quello schiaffone sarà stato utile!”
Mi feci piccola, piccola. A quanto pareva, dopo anni, ancora se ne parlava.
“Quando ti sarai stabilita là, con molta calma, potremo anche cercare il passaggio segreto.
So che ci tornerà utile, prima o poi e inoltre…il passaggio di servizio che adoperiamo è sconosciuto alla maggior parte della corte, ma non è un segreto e dà accesso diretto alle mie stanze.
Non è prudente lasciarlo aperto. Penso di farne murare la parte che conduce al piano reale e trovare un'altra via di fuga per quando mi sarà necessario. Tu e io non avremo più bisogno di sotterfugi per incontrarci, ma ci sarà utile comunque. Si, molto più di quanto possiamo pensare, probabilmente.” Si fermò a riflettere.
“Is? Tu lo sai, vero, che se va tutto bene, se sopravvivo, se ci sposiamo e io porto avanti la mia opera, le cose diventeranno molto pericolose, ad un certo punto, vero?”
“Si, lo so, anche se non mi hai mai spiegato a fondo cosa sei venuto a fare, NebKheperuRa.”
“Saprai tutto molto presto, voglio sfruttare questo tempo per metterti al corrente del più possibile, e poi, per il resto, ci saranno altre vie, eventualmente, se io non dovessi più esserci.”
Rabbrividii, ma, quella volta, non osai rimproverarlo per aver nuovamente presa in considerazione la possibilità della sua morte. Non volevo pensarci, ma ci pensavo, forse più di lui e dovevo arrendermi a questa realtà. Forse per questo ero così contrariata ogni volta che se ne faceva cenno: dicevo di non voler nemmeno lontanamente pensare alla possibilità, ma la temevo e ci pensavo, scacciandola, più di tutti gli altri.
Anche quella volta scacciai il pensiero, tornando a concentrarmi sul discorso di partenza: “Che cosa devo sapere?” lui si distese, appoggiò la testa su un grosso rotolo di stoffa e chiuse gli occhi.
“Troppo per pensarci stasera. Domani farai un’altra prova su come preparare la Farfalla per la mia mummia, giusto per essere preparati. Chissà, forse non servirà che tra molto tempo e forse mai, se dovesse andare tutto bene. Certo, dopo tanta fatica, sarebbe perfino un peccato non doverla preparare…”
“Quindi, io vivrò…io vivrò con te? Insieme a te, le mie stanze accanto alle tue e ci incontreremo sempre?” vidi il suo viso, nella penombra, illuminarsi: “Oh, si che sarà così! Ho aspettato tanto il giorno in cui poter avere in moglie la mia sposa e ora non vorrò lasciarla mai! Vedi? Soltanto all’idea, mi sento già meglio!” ci pensò su: “Comunque non sarà più scandaloso che dare sepoltura reale a due aborti, no? Ormai li ho scandalizzati a dovere, con quella faccenda.”
“Non lo hai fatto per questo! Non le hai volute onorare con le esequie di due principessine solo per scandalizzare i sacerdoti e la corte!” protestai. Lui sospirò: “No. Avevo un motivo ben preciso per farlo, ma…ma ciò non toglie che sono due bambine nate premature e prematuramente morte.
 Deformi. Sia benedetto Amun per aver evitato loro una vita di dolore e malattia, cosa sarebbero state se fossero vissute?”
Restò in silenzio, lo sguardo velato fisso nel vuoto. Non volevo disturbarlo, pure se indugiava nel suo dolore. Ci sarebbero stati altri bambini, sani, forti, belli. Avrebbero riempito i corridoi e le sale del palazzo reale con le loro corse e i loro giochi e lui sarebbe stato lì, forse un po’ zoppicante, ma in buona salute, a giocare con loro e crescerli. Stringevo le palpebre costringendomi ad immaginare quel futuro, che mi sembrava ogni giorno più possibile, quasi probabile.
Osservando quell’espressione intensa, concentrata, mi resi conto che pensava alle spedizioni, alla ricerca degli strumenti di guarigione. Era così difficile immaginarli, mi sembravano cose irreali, avvolti in una nebbia di nulla, eppure sapevo che lui, ora, ci pensava con disperazione, convinto, chissà se a ragione o torto, che avrebbero guarito le sue bambine.
Ci saranno bambini sani. Ci saranno, saranno forti…
“Perché, dunque?”
Si riscosse dal suo sogno ad occhi aperti: “Cosa?”
“Perché? Perché le hai volute mummificare? La prima è morta durante il parto, ma l’altra? Non è mai stata viva, qui, nel mondo”
Sua Maestà si sistemò meglio tra i cuscini, cercando concentrazione.
“Non sono state vive in questo mondo, si, soprattutto la più piccola. Ma lo sono state e lo sono. Le loro anime hanno tentato di restare aggrappate alla vita terrena con tutte le loro forze, fino all’ultimo e…e io le ho conosciute. Le ho osservate cercare di abitare quei piccoli corpi malati, le ho guardate fluttuare intorno a mia sorella, le ho sentite, quando mi erano vicine, ho imparato a conoscere i loro rari sorrisi, ad ascoltare i loro frequenti sospiri di preoccupazione, ho visto la loro impotenza e ho letto nei loro occhi il dolore di doversene andare. Ho teso loro le mani, cercando di trattenerle, per poi arrendermi, perché l’unica cosa saggia era lasciarle andare.
Troveranno altri padri, altre madri, altri corpi, quando sarà il momento. Forse torneranno. Forse guarderò ancora le loro forme eteree fluttuare ed entrare nel corpo di un’altra madre, forse riconoscerò i loro occhi e il loro sorriso, forse. O forse non mi appartengono, né mi apparterranno.

Noi siamo molto più di ciò che è il corpo fisico. Siamo più dei nostri ricordi, delle nostre esperienze, delle nostre azioni.
I sacerdoti parlano di un al di là, di pesa delle anime, di un sacco di sciocchezze cui la gente si aggrappa con disperazione, cercando con ogni mezzo di guadagnarsi l’al–di-là, chiedendosi per tutta la vita se ne siano degni.
Pensano di potersi comprare l’oltretomba con favori e doni ai sacerdoti, preghiere agli déi o ciò che essi credono esserlo, ma non sono costoro ad avere potere sulla vita e non intendo la vita qui, nel corpo fisico, che è facile fermare con un provvidenziale incidente o un veleno occultato opportunamente in qualche prelibatezza, no! Non è questa la Vita, Is.
Questa vita non è che un sogno tra un giorno e un altro della nostra eternità.
Mummificare e dare esequie alle mie bambine aveva questo scopo: dichiarare come esse fossero in tutto e per tutto esseri umani, pur nel limbo del grembo materno e come tali meritassero ogni onore. Ho negato ai sacerdoti il potere sulla vita e sulla morte, in quel modo, dicendo al mondo che le mie figliole esistono, sono reali, vere come tutti noi, che la loro vita è stata ed è degna di essere tale. Non sono nate morte, non sono morte. Sono soltanto in viaggio verso la loro divinità.
E poi, molto più prosaicamente e politicamente, ho dichiarato al mondo che il Faraone Fanciullo è in grado di procreare come qualsiasi altro uomo o quasi. Insomma, sistemando un paio di cose…
Il mio gesto ha fatto si che due semplici aborti tra altri aborti, siano stati trasformati in bambini, eredi, che un destino crudele ha strappato alla vita prima ancora che vi si affacciassero.
Ho mostrato al mondo una decisione ingloriosa, apparentemente, il capriccio di un pazzo, si, ma la verità è che ho detto chiaramente che chi è accanto a me verrà protetto, avrà il diritto alla vita che altri pretendono di negare.”
Si voltò a guardarmi: “Ma questo è solo l’inizio.”
“Non c’è altro? Nella sepoltura delle piccole, intendo”
Si strinse nelle spalle: “Forse. Ma non ho voglia di parlarne, ora.” Si voltò verso di me, mi sciolse la cintura e la mia tunica scomparve quasi per magia. Aveva il sorriso un po’ birbante da bambino che ha rubato un dolcetto sotto il naso dei grandi, ma gli brillavano gli occhi, di una luce tutt’altro che infantile. Occhi dorati, intensi, profondi, che toglievano il fiato.
C’erano dentro tutte le stelle del cielo, pure quelle che non ci è dato conoscere.”
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Si sentiva uno strano rumore, nella stanza, come un motorino sommesso.
ll Mau dormiva beatamente, Micky si lavava con molto impegno, apparentemente approvando i nostri discorsi e il motorino era lui.
“Beh” sospirò Franco: “Non si può dire che fosse un tipino qualunque, eh?”
“Era così assurdo per loro tutto questo?”
“Lo era nel milletrecento avanti Cristo, ma lo è tutt’ora. Pensaci, Eva, qual è la più grande paura dell’umanità?” chiese.
“Beh, la paura della morte. Non importa cosa la gente dica, cosa dicano quelli che trasudano fede da tutti i pori, o quelli che si professano atei e se ne stanno apparentemente rilassati sulle loro poltrone, guardando con commiserazione tutti gli altri e dichiarando di essere disincantati e fortunati nella loro certezza del nulla oltre la materia.
Gli uni e gli altri, con tutte le sfumature nel mezzo, hanno una fottutissima fifa di quella cosa lì, tutti dal primo all’ultimo.”

“Esatto” ribatté Marabel. La paura della morte è il fondamento di ogni cosa. Politica, religione, dominio, guerre o pace, malattie, fobie, perfino di suicidi: si ha talmente paura della morte, da volersela procurare al momento scelto, piuttosto che doverla affrontare, un giorno o l’altro, all’improvviso o con sofferenza e agonia. A volte sia ha talmente paura della morte, da essere terrorizzati dalla vita. Chi gestisce la morte ha un potere sconfinato ed era proprio ciò a cui voleva porre fine, questo era il significato di essere il Distruttore delle Tenebre.
Con la sepoltura delle bambine aveva iniziato un cammino che, passo dopo passo, avrebbe dovuto condurre ad una rivoluzione inimmaginabile. Nessuno è mai stato così pericoloso.
Come possono  esistere i tiranni, senza la paura? Come potrebbe qualcuno impoverire chi gli sta intorno, senza la minaccia di una morte eterna, come era, ed è oggi, per i capi delle religioni basati sulla paura?”

“Quindi, stai dicendo che avrebbe eliminato qualsiasi forma di religione? Ma questo avrebbe portato alla totale anarchia! Non aveva già fatto sufficienti danni suo padre?” Franco sembrava preoccupatissimo, ora, sembrava quasi pensare, contro la sua stessa volontà, che estinguerlo fosse stato il male minore.

“Non esattamente. Come sappiamo, la prima azione che fece durante il suo regno, fu riportare la capitale a Waset, restaurare i templi e la religione preesistente, in modo da dare sicurezza e stabilità al paese. Sicurezza, Franco…gli déi ci sono, sono contenti, vi vorranno bene, vi proteggeranno. Ergo, immediatamente iniziò un duro lavoro di ricostruzione di un paese sgretolato e pagamento delle tonnellate di debiti creati dai due fringuelli eretici e dalla loro corte.
Ricordate che mi spedì alla capitale con un bel malloppo per poter pagare cantieri e lavoratori a vario titolo, così da mettere almeno una parvenza di ordine prima del suo arrivo?
Questo era il primo, piccolo passo verso la sicurezza. La gente doveva assolutamente riacquistare fiducia nella vita, nella classe governativa, doveva sapere che il faraone era al suo posto, che proteggeva il paese, doveva avere fiducia nel futuro e, per questo, doveva avere la certezza di avere la pancia piena ogni giorno. C’era bisogno di speranza concreta, qualcosa cui potersi aggrappare con molta determinazione e lui diede ciò che occorreva.
Quello che il mondo oggi non sa, è che, nei suoi conti, la quantità di preziosi adibiti al saldo dei debiti con mezzo mondo antico, era molto maggiore di quanto effettivamente fu. Le ricchezze dovettero essere riconquistate con guerre, sempre condotte ottimamente, ma anche con una dose notevole di tasse.
Nessuno, nonostante gli anni di impoverimento assoluto, si lamentò mai, però, perché ciò che avevano in cambio era molto più prezioso di quel che dovevano offrire e, in ogni modo, il Faraone non pretendeva mai da chi aveva poco.
Si, forse anche per questo i ricchissimi erano quelli che ce l’avevano con lui, pensandoci bene…”

“Ma perché?” chiese Franco: “Perché c’era molta meno ricchezza di quello che si aspettava? C’erano state razzie? Pirati? Predoni?”
“I sacerdoti dell’Aton” Rispose lei laconica.
“E ti pareva!” sbuffai.
“D’accordo, ma…era una città, non potevano essere così tanti, no? Quanti erano? Potevano arrivare ad un centinaio?”
Marabel rise: “Scherzi? Praticamente tutta la classe vagamente nobile, la corte, dignitari, segretari, artisti, chiunque potesse essere utile ed interessante per l’Eretico e la gentil consorte, o LE gentili consorti, almeno quelle un po’ più considerate, erano elevati al rango di sacerdoti dell’Aton.
Come sappiamo, Ekhnaton si comprava i favori dei sudditi con l’oro e le pietre preziose, oppure con cariche onorifiche e terreni, ville, proprietà.
Nel periodo in cui Sua Maestà tornò alla vecchia città, dopo l’incoronazione, si mise all’opera per smantellare le ricchezze che poteva recuperare per pagare debiti, lavoratori, contabili, e soldati. C’era molto da fare, ma non era tutto qui: c’erano tutti gli abitanti, soprattutto l’intera e schifosamente ricca classe sacerdotale di AkhetAton da rieducare.
Come ti ho raccontato, Eva, lui era convinto di poter riportare molti fedeli dell’eresia alle vecchie abitudini, e in parte ci riuscì, spesso con un’opera di dolce persuasione, altre volte scendendo a compromessi, come affidare cariche non proprio meritate agli ex sacerdoti, imbastire matrimoni allettanti e poi qualcos’altro che non era chiarissimo.
Quello che accadde, in quel periodo, lo scoprii solo con il tempo. Non sapevo ancora, quando questi eventi si svolsero, che lui aveva iniziato già ad AkhetAton ad usare la sua autorità, anche se in modo quasi velato. Ricordi il trucchetto che fece con il giaciglio della Governante?”
“Oh, si, come no!” mi esaltai: “La faccenda del sacco d’oro che ti diede all’insaputa di Aye! Ti chiedevi, e me lo chiedo anche io, come e perché nascondere un grosso sacco di oro ad Aye”
“Esatto, soprattutto perché! A quell’epoca non mi ero posta molte domande: avevo  diciassette anni, ero una donna fatta per l’epoca, ma ero sempre una ragazza adolescente e tendevo a vedere le cose in modo…passionale, emotivo: se il mio Bambino mi diceva di fare una cosa di nascosto al Gran Visir, io non mi chiedevo per quale motivo, perché il mio Bambino aveva sicuramente ragione a prescindere!”

Sogghignammo tutti e due: avevamo una mezza idea che non fosse cambiata molto, in seguito.
“La verità, però, era che Aye non doveva sapere di quell’oro, perché era stato quasi complice della sparizione del tesoro mancante, o perlomeno aveva chiuso tutti e due gli occhi e Sua Maestà non volle fargli sapere esattamente quanto ne avesse recuperato.

Come sappiamo, durante quel primo anno di reggenza, il Bambino prese delle posizioni molto nette. Al popolo di AkhetAton furono date fondamentalmente tre scelte: tornare sulla vecchia via, come dicevamo, e riabbracciare le divinità tradizionali godendo dei privilegi di cui parlavamo, rimanere nella città eretica, senza però interagire con il resto del paese, con la confisca di gran parte delle ricchezze, a parte il necessario per vivere dignitosamente e i terreni coltivabili, oppure…andarsene dall’Egitto. Coloro che avessero scelto l’esilio, avrebbero potuto portare con sé bestiame, tutte le provviste e le sementi che possedevano senza tassazione, gli oggetti personali, servitù, se questa desiderava seguirli, guardie, e un terzo del proprio tesoro personale.
Molti, ma perlopiù cittadini comuni, mercanti, servitori e scribi, più una parte di militari, tornarono alla vecchia vita, pochi restarono nella città, che però, essendo sempre più abbandonata, non offriva molte possibilità e gli altri, la maggior parte, scelsero l’esilio.
Era la scelta più logica, soprattutto per coloro che erano convinti dell’eresia di Ekhnaton, perché questo avrebbe permesso loro di ricostruire altrove il loro progetto iniziale, purché non infastidissero nessuno ed era un buon modo per evitare un imbarazzante rientro nella società rasa al suolo dalla loro filosofia: coloro che erano rimasti al di fuori delle linee guida dell’eretico, non sarebbero stati molto teneri con i traditori pentiti, arricchitisi affamando il paese.
Il Faraone diede loro il tempo di organizzarsi, preparare carri, tende, un piccolo esercito molto ben armato, sistemare tutte le loro cose e affidò ai Visir a lui fedeli, Aye in testa, il compito di calcolare e confiscare la parte di beni, oro e preziosi, soprattutto, che costoro dovevano all’Egitto.
Non so se si fidasse veramente, ma che poteva fare se non…fidarsi?”
“E invece, scommetto che i visir permisero loro di portarsi via tutto o quasi, sbaglio?”
“No, per nulla. Quando Sua Maestà tornò ad AkhetAton, i lavori di recupero delle ricchezze disponibili già fervevano, le colonne di esuli erano ormai nel deserto, i capi gli resero rapidamente e freddamente onore e, pur riconoscendolo come nuovo Faraone, non lo riconobbero come proprio re, quindi raggiunsero il resto delle carovane e partirono.
Doveva trattarsi di un gran numero di persone, perché ogni sacerdote dell’Aton si portava servitù, familiari, guardie personali, dipendenti, amici fedeli.
Non dimentichiamo che il Faraone e la Sposa Reale erano bambini con grosse incombenze, cui si chiedeva ogni giorno di dedicare molte ore all’istruzione scolastica e all’etichetta, a tutte quelle che erano le incombenze reali, regole, preghiere (a loro sconosciute o quasi, vista la situazione) e, con tutto questo, il Faraone doveva anche occuparsi dello smantellamento della città.
Ci vollero settimane perché ci si rendesse conto della reale entità del tesoro di AkhetAton, ma a quel punto alcuni  notabili cercarono di convincere Sua Maestà che ciò che c’era era assolutamente corretto. Non era vero e lui lo sapeva benissimo, molto di ciò che mancava era stato sotto i suoi occhi da quando era piccino, così ordinò ai contabili di rifare l’inventario di ogni briciola d’oro presente nella città alla morte di Smenkhara e, nonostante parte della documentazione fosse provvidenzialmente scomparsa, ci si rese conto dell’entità della fetta mancante. In seguito un membro della sua segreteria, che rimase con lui fino alla fine, mi raccontò che si era sentito male a rendersi conto di quanto minima fosse la reale quantità di tesoro disponibile: si chiedeva con cosa avrebbe pagato i debiti e poi operai, soldati, come avrebbe potuto operare l’immensa mole di lavoro che lo aspettava?
Cominciò tutto in salita il suo regno, e che salita! Aspra, scoscesa e piena di ostacoli!

“Ma che vigliacchi!” mi scappò.
“Sua Maestà mandò immediatamente  il pur piccolo esercito all’inseguimento delle colonne, ormai lontane. Il generale Paatonenhab, che allora era ancora in carica, avvistò gli esiliati presso un’area paludosa del Basso Regno, nota come “Mare di Canne”, presso l’immenso delta.
Era un’area pericolosa sia per le paludi, che per la presenza, in quegli anni, di pirati e briganti di ogni genere, e Paatonenhab si trovò ad ingaggiare una lotta contro il tempo e costoro, prima ancora che contro i militari esuli e il suo esercito non aveva alcuna guida, che invece aveva la pesante colonna inseguita. Si trovò, nonostante la leggerezza e rapidità dei carri da guerra, a dover lottare con i fanghi mobili, impantanato con diversi cavalli, perdendo ulteriormente tempo e rischiando di perdere uomini.
Inseguirli oltre era rischioso, significava, tra l’altro, lasciare quasi completamente indifeso il paese, non inseguirli significava perdere la possibilità di sollevarsi dalla miseria.
Ci pensò un giovane e brillante ufficiale, con un manipolo di giovani soldati poco prudenti, a lanciarsi all’inseguimento, oltre le paludi:  si scontrarono con gli esuli, con il loro esercito ben pasciuto, ben armato e preparato al loro arrivo, riuscendo a recuperare in uno scontro diretto, poco più di un quintale di oro. Una piccola parte, ma pur sempre abbastanza per coprire le spese più urgenti.

Dopo quell’azione N’kht fu accolto con onore al suo ritorno ad AkhetAton, ebbe una promozione e anche una solenne sgridata da Sua Maestà per la sua avventatezza, perché pare che il campo di battaglia fosse veramente infido e che N’kht non si fosse risparmiato per proteggere i suoi soldati, correndo anche notevoli rischi.”

“Uno sfogo, insomma…e N’kht che ne disse? Insomma, lui si comportava da eroe e il Faraoncino lo sgridava, non doveva essere molto contento” chiese Franco.
“Oh, ragazzi, N’kht non batté ciglio! Sapeva perfettamente che il Faraone lo faceva per nascondere la preoccupazione e la paura che gli accadesse qualcosa, lo prese come un gesto d’affetto e, quando più tardi lo raggiunse nelle sue stanze, così mi fu raccontato, non chiedetemi come lo si fosse venuto a sapere, il Faraone scoppiò in lacrime tra le braccia del cugino.”

Già. A quell’epoca aveva dieci anni e mezzo, aveva ereditato un regno disastrato, perso quasi tutta la sua famiglia, per quanto non fosse una gran bella famiglia, e si trovava a dover fronteggiare subito una serie di tradimenti, più o meno pesanti. La persona che più amava era lontana e l’unico vero familiare, l’uomo di cui si fidava ciecamente e cui sempre si sarebbe affidato, rischiava di farsi infilzare come un piccione o finire affogato nel fango. Lo credo che fosse spaventato e fosse scoppiato a piangere, appena al sicuro nella privacy delle sue stanze…Privacy…oddio…sorvoliamo.
“D’accordo, questi signori se la svignarono con una refurtiva da record, ma questo che aveva a che fare con Aye?”
“Si, ma Sua Maestà sospettava, e non solo lui, che Aye sapesse tutto dal principio e avesse deliberatamente distratto il piccolo Faraone perché non si accorgesse dell’ammanco.
Fu per questo che tenne nascosta la reale entità del bottino recuperato e poté agire di sua iniziativa, sia per il pagamento della Stele della Restaurazione, sia per gli stipendi alla gente della capitale. Forse il Gran Visir avrebbe deciso una spesa inferiore, oppure avrebbe semplicemente messo lingua, cercando di decidere al posto del legittimo sovrano, come è scontato. In questo modo, fin da subito, il Faraone dichiarava la sua autorità, che ai suoi consiglieri piacesse o meno.
Anche in questo caso, poté nascondere parte dell’oro grazie al cugino, che glielo passò sottobanco prima del conteggio ufficiale.”
Però, alla fine di tutta la faccenda, c’era qualcosa che non mi sconfinferava, in quel racconto: “Uhmmmm…un vero e proprio esodo biblico, eh?”
Marabel mi sbirciò di sottecchi: “Vero?”
“E costoro, gli esiliati, dove si stabilirono? Cosa fecero dopo?”
“Beh, di certo si sa che andarono verso Oriente. Dove…beh, non è facilissimo, consideriamo che il territorio Egizio, controllato dall’Egitto, arrivava fino ai confini con l’impero Ittita e con i regni Assiro e Mitanno. A Sud, dove oggi è Arabia, era deserto, abitato da popolazioni beduine. A Nord c’era il mare. Insomma, costoro avrebbero potuto soltanto cercare comode oasi nel grande deserto arabo, chiedere un pezzo di buona terra a qualche regno lì attorno, magari non gli Ittiti, oppure stabilirsi lungo la costa delle terre di Canaan. Potevano anche fare tutte queste cose, dividendosi in più gruppi.”
“Canaan era territorio libero?”
“Era territorio Egizio e lo rimase per secoli, anche dopo la Battaglia di Qadesh tra Ramsess e Muwatalli. Ciò fa pensare che dopotutto, effettivamente sia stato l’Egitto a vincere.”
“Ah” rispose Franco come unico commento.

“Comunque” riprese Marabel: “La ormai famosa Stele della Restaurazione, l’impegno che aveva mostrato fin dal principio, il voler a tutti i costi dare al popolo una buona paga per il suo impegno, avevano riportato fiducia e sicurezza.
La presenza delle figure rassicuranti degli déi era una pietra miliare nella percezione di sicurezza del popolo, e lui aveva dato loro esattamente ciò di cui sapeva avevano bisogno.
La struttura religiosa fungeva da equilibrio, dettava delle regole di comportamento ed esercitava una forte protezione sul paese e lui non voleva disgregare questo equilibrio: al contrario del padre, che si era buttato a capofitto in una rivoluzione ideologica tanto dissennata quanto inutile, sapeva che una cosa come il monoteismo, avrebbe portato solo sciagure, innescando lotte fratricide per la supremazia di un dio unico su tutti gli altri.
E aveva perfettamente ragione, come dimostra la storia. L’umanità non era pronta per comprendere il vero significato del concetto di Uno Senza Nome, pur avendo qualcosa di simile nell’antica figura di Amun.
Sua Maestà non aveva nessuna intenzione di distruggere gli déi, ma le figure minacciose, monopolizzatrici, che si nutrivano della paura per continuare ad esistere e soggiogavano le genti di ogni paese con minacce e punizioni.
Lui sapeva che l’umanità aveva un grande bisogno di Déi, di religioni che facessero sentire protetti e che toglierli avrebbe significato non liberare il popolo da un giogo, ma trascinarlo nel totale smarrimento e nella disperazione, privati di punti di riferimento.
Ciò che voleva distruggere. Invece, erano le egregore costruite in secoli dall’arroganza dei sacerdoti e la paura della morte, che permetteva a costoro di dominare, le falsità sulla vita, la morte, gli stessi déi, l’Universo. Voleva che si potesse capire che non c’è Divino che desideri sprofondare le sue creature nella disperazione.”

“Ssi, ma…” abbozzai “Senti, non per mancare di fiducia nell’umanità, ma quando l’uomo smette di temere qualcosa…non inizia a dare fuori di matto, a non rispettare alcuna legge ed a sentirsi autorizzato a fare qualsiasi cosa?”
“No” disse Marabel paziente: “Lo fa quando smette di temere qualcosa, non quando smette di temere. È molto sottile, questo, ma la nostra vita, sempre, tutta e di tutti, è permeata dalla costante minaccia della morte. Quando la gente si ribella ad un tiranno, o ad un dogma religioso, o a delle regole e, come dici tu, si dà alla pazza gioia, ad una liberatoria immoralità, mancanza di rispetto per gli altri e per qualsiasi regola del buonsenso, perché ha l’illusione di essersi liberata, ma continua ad essere soggiogata dalla paura delle paure, di un’oscurità eterna o di un eterno annullamento. Quindi, per reazione, sfida, attacca, aggredisce, inizia ad avere deliri di onnipotenza. Perdere i congiunti, perdere se stessi, è sempre presente.
È un potere tanto sconfinato da non riuscire nemmeno a quantificarlo. Le filosofie, le ricerche, le correnti politiche che, da una parte, vogliono dimostrare l’esistenza del divino e dall’altra negarla, non fanno che aumentare il potere della paura stessa che negano, in un senso o nell’altro, ma se un giorno arriva qualcuno che ti dice semplicemente e tranquillamente di non aver paura, che addirittura te lo dimostra…allora la prospettiva cambia. E cambia totalmente, c’è una vera liberazione, uno spezzare le catene definitivo. Le tenebre cessano di esistere, diventano impossibili, perché non è più fede, ma conoscenza. All’alba della preistoria, forse gli uomini temevano che il sole non sorgesse, l’indomani, forse pregavano per il suo ritorno e forse avevano fede, nel suo ritorno, ma oggi non è così. Sappiamo come funzionano le cose, sappiamo che il Sole tornerà non appena la Terra avrà compiuto il suo giro su se stessa. Non dobbiamo pregare perché questo accada.”

Continuavo ad avere dei seri dubbi, però. Come avrebbe fatto a svelare un mistero così grande come quello della vita e la morte, così inafferrabile per scienza, filosofia e perfino fede un ragazzo da solo contro tutti i potenti, per di più fragile e malato?
E come avrebbe fatto, senza sgretolare l’ordine sociale, economico, politico del suo paese e degli altri? Era grandioso, era fantastico, ma non poteva semplicemente rimanere fantastico in un modo in cui fantastico non superasse una soglia di sopportabilità storica ed evolutiva?

“Perché era così importante?” domandai. “Non era sufficiente portare benessere, giustizia, prosperità? Governava con saggezza, dava il buon esempio, aveva restaurato l’ordine e ora avrebbe potuto tranquillamente occuparsi di arte, letteratura, filosofia, avrebbe potuto, per esempio, promulgare una legge che impedisse i matrimoni tra parenti stretti e al di sotto di una certa età. Quello sarebbe stato un salto evolutivo straordinario, in un’epoca così antica in cui incesti e pedofilia erano la norma…a me pare che sarebbe stato molto più che abbastanza, anzi!”
“Vero. E lui era prontissimo a compiere quelle rivoluzioni, erano parte del suo progetto di governo.
Sposarmi, infatti, sarebbe stato il primo passo nella nuova direzione: una volta nato il nostro primo erede, avrebbe potuto mostrare come la non consanguineità portava progenie sana e forte, mentre un incrocio tra fratelli, con linee di sangue pure, ma impoverite da incroci familiari continui e ripetuti per generazioni, non potevano che fare grossi danni, portando in ultimo sterilità, malattie, deformità. Si sarebbe posto come perfetto esempio di come la stoltezza dei padri venga pagata dai figli e, poiché aveva preso su di sé la responsabilità degli errori dei predecessori, avrebbe avuto una funzione che possiamo definire catartica.
La comprensione avrebbe portato sicuramente ad una sorta di divinizzazione della sua persona, peraltro già esistente, ma, pur seccante, secondo il suo punto di vista, utile allo scopo.
Lui voleva evitare i matrimoni obbligati, quelli al di sotto dei quindici anni, all’epoca accettabile, evitando così anche gravidanze troppo precoci, che troppo spesso portavano alla morte della partoriente.
Erano riforme che aveva in mente di portare avanti appena risolte due o tre cosucce personali, tra cui la questione del piede: gli bastava sopravvivere all’operazione, bloccare con l’amputazione il progredire della malattia e mostrare che un Faraone con un pezzetto mancante può essere più vincente di uno tutto intero, in alcuni casi.
Il passo immediatamente successivo al matrimonio, come sappiamo, sarebbe stato dichiarare sua sorella Gran Visir accanto al nonno, in attesa che questi si ritirasse definitivamente per raggiunti limiti di età, lasciandole in mano un’altissima carica, poi dare incarichi di Viceré a N’kht.
Non avrebbe tolto ad Huya il governo che aveva da anni, per carità, anzi, quell’uomo gli faceva comodo e gli piaceva, ma si occupava solo di una parte del regno e lui voleva avere un sostegno militare e politico più a tutto tondo nel suo Delfino.
Il Generale, infine, soprattutto dopo la provvidenziale sconfitta contro Hatti, e privato del sostegno di Aye, sarebbe rimasto nell’ombra, isolato in un Nome probabilmente verso Sud Ovest, ricco, onorato con cariche fasulle, utili alla sua vanità e niente altro.
Come vedete, ragazzi, già solo qui ce n’è per mandare nel panico più totale praticamente tutta la classe nobile e dirigente non di un regno, ma di parecchi!

Avrebbe avuto respiro. Dopo dieci anni passati costantemente all’erta, cercando di non perdere mai d’occhio l’uno e l’altro, finalmente avrebbe avuto intorno persone leali, amiche, di vero appoggio e non d’intralcio, persone cui avrebbe potuto dire ciò che veramente aveva in animo e con cui avrebbe potuto parlare di ogni progetto, anche azzardato, senza temere scandali, ritorsioni, tradimenti.
Avrebbe potuto tirare il fiato non avendo più quel dolore costante, a volte lancinante, che non gli dava tregua e che gli impediva di muoversi liberamente e che ci spaventava, portando con sé il costante rischio di infezioni.
Se poi un giorno avesse desiderato o avuto necessità di una coreggenza, nei suoi piani, questa sarebbe spettata a me. Era un’idea che non allettava per niente il mio carattere schivo, ma al momento non era che un’ipotesi remota che speravo non si verificasse mai.”

Guardai fuori: era appena passato il Solstizio estivo e le giornate erano pressoché eterne.
Il cielo ci osservava azzurro, attraversato da un paio di batuffoli stracciati di un bianco brillante a riverberare il sole appena un po’ basso sull’orizzonte, ma ancora ben lungi dal tramontare.
Pensai ai tramonti nel cielo degli Egizi: pochi minuti, con giorni e notti che variavano poco durante l’anno, precipitando l’umanità in notti quasi improvvise e profonde. Molte stelle sicuramente, almeno in quei tempi lontani privi delle odierne varie forme di inquinamento, ma nessuna catena montuosa carica di ghiacciai a riverberarne la luce, anche da lontano, con l’unica eccezione, probabilmente, di quell’area straordinaria chiamata Deserto Bianco.
Immaginai la gente rifugiarsi nelle piccole case lungo il corso protettivo del Grande Fiume, alla luce delle lampade, che non poteva che provare una sorta di atavico timore nell’attesa del domani.
Eppure, la notte!
Non è la cosa più magica che sia stata data al nostro mondo?
Quel silenzio, che l’umanità fifona cerca in ogni modo di rompere, quel manto di oscurità, trapunto di brillanti a mostrare la profondità insondabile dell’Universo, apparentemente muti, eppure dalla voce cristallina per chi sappia ascoltare, in mezzo al quale un astro latteo veglia scandendo con il suo stesso corpo lo scorrere del tempo…
Non è magia pura, quella con la maiuscola? Quando la realtà del sogno prende il posto della realtà della veglia, con regole diverse, diverse logiche, in uno spaziotempo alternativo e dilatato, per chi sappia percorrerne le strade.
Per questo l’umanità affondata nelle sue paure cerca di distruggerla, con suoni, luci, vita simil diurna a sfidarne il mistero troppo profondo per non spaventare.

“La notte non è tenebra…” mi scappò detto, mentre ero persa nelle mie elucubrazioni.
“No” rispose Marabel: “La notte è la luce cosmica, il tempo divino. Non perché déi antropomorfi scorrazzino per le città o sui campi, ma perché puoi toccare la fonte dell’Uno Senza Nome, quasi vederne la faccia affondata tra le stelle, sentirne il sorriso placido, compiaciuto della propria opera. Forse non sa che lo stai osservando, da quel puntino insignificante alla periferia di una delle tante galassie, ma tu, nel tuo piccolo, dal cuore di quella Dea Terra che da Esso è emanata, lo puoi toccare. Senti il sorriso della Terra Madre, la sua voce che conduce all’origine di ogni cosa, nel punto da cui tutto è partito e cui tutto tornerà, in un futuro remoto.
È grandioso, non è vero? Mostra all’uomo la sua insignificante piccolezza. Per questo nel suo essere corrotto ha demonizzato la notte: per rivoltare sull’immenso la propria infimità, con l’illusione e la presunzione di sentirsi più grande.” 
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